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I Walser e la loro eredità: intervista a Enrico Rizzi

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I Walser e la loro eredità - Valentina Losurdo intervista Enrico Rizzi, storico delle Alpi ed autore di saggi sulla storia dei Walser e del Monte Rosa.

Enrico Rizzi, un cammino Walser sembra proprio una tautologia nel senso che mi hai raccontato che i Walser sono sempre stati grandi camminatori e che dal loro buon passo si vedeva se fossero veramente Walser o no. Perche camminavano cosi tanto?

Perché vivevano sulle montagne e soprattutto perché il camminare sulle montagne per loro era la ragione di vita. Molte valli Walser, in qualche modo anche questa [ndr, Val Formazza], non avevano contatti con il fondo valle ma solo al di là delle montagne. Le strade erano tutte pedonali, non c’erano strade per carri. Non solo, ma quando si dovevano fare trasporti pesanti (tronchi o anche fieno) si aspettava l’inverno e si usavano le slitte.

Tra gli aspetti interessanti di questa valle c’è l’acqua, tanta acqua e quindi la Val Formazza era una grande produttrice di energia.

Grandissima. Quando sono state fondate le centrali, l’elettrodotto principale forniva un terzo dell’energia sufficiente alla città di Milano, veniva tutta da qui. E la montagna è questo grande patrimonio di acqua, l’acqua è la storia del mondo e l’acqua è il ghiacciaio.

I Walser in qualche modo hanno anche indicato uno stile di vita ante litteram, che si sta rivelando sempre più attuale. Il cambiamento climatico attuale risuona con lo stile di vita Walser che era collocato in una geografia da un punto di vista climatico molto specifica.

Certo, è un po’ la teoria del nuovo montanaro che io ho raccolto in un decalogo. Quattro parole chiave: intanto salire in montagna ad imparare e non a insegnare, come di solito tende a fare il cittadino. Secondariamente, sapere e imparare che tu non puoi al mattino decidere quello che vuoi fare come in città ma devi vedere il tempo, quindi adattarti alla stagione. Terzo, importante: vivere la solitudine. La solitudine della montagna è meravigliosa se la sai vivere, se impari a vivere da solo, altrimenti diventa pesante, oppressiva. Abbiamo addirittura una letteratura di scrittori che detestano la montagna perché il silenzio della montagna è una ragione di angoscia. E poi, nel decalogo l’ultimo punto che ho presentato anni fa è: ogni tanto, ogni mese o due mesi, scendere in città perché allora tornando si apprezza ancora meglio quel poco ma importante che è la vita in montagna.