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Locanda Walser Schtuba: intervista allo chef Matteo Sormani

di Chiara Vannini
Cultura News Val Formazza

La “Walser Schtuba” dello chef Matteo Sormani: un viaggio gastronomico a 1718 mt di quota alla scoperta del popolo Walser.

L’anima del popolo Walser si ritrova non solo negli incredibili percorsi naturalistici, fra boschi e sentieri, ma anche nei modi coi quali, nei secoli, gli abitanti delle vallate e delle montagne “Walser”, si sono alimentati. Ricette tradizionali, tramandate nelle varie generazioni, e che ne danno una connotazione culturale ancora più specifica.

Molte di queste ricette sono conservate gelosamente e cucinate in stile un po’ più contemporaneo dalla “Walser Schtuba”, famosa come la “Locanda Walser”. A 1718 mt di quota, in località Riale, nel cuore della Val Formazza, lo chef Matteo Sormani e la sua brigata hanno coraggiosamente dato vita a un insediamento gastronomico e di ospitalità che mantiene viva la tradizione gastronomica di questo straordinario popolo.

Attraverso di essa, risolleva dal passato una cultura popolare ancora da scoprire e valorizzare maggiormente, dove il rapporto con la natura, la ricerca e la cura dei suoi frutti e della materia prima, è incontaminato. Come l’atmosfera che si respira lassù. Abbiamo intervistato lo chef per comprendere più da vicino in cosa consiste il suo profondo “abbraccio” tra questo territorio e la sua cucina.

Come nasce e con quale filosofia nasce la Locanda Walser Schtuba in val Formazza?

Grazie ai nonni pasticceri, fin da piccolo sono cresciuto tra i profumi e i ritmi della cucina, sviluppando la sensibilità che poi mi ha reso chef dopo essere stato un maestro di sci. Con mia sorella Francesca ho deciso di avviare l’attività della locanda Walser Schuba, ma prima ho voluto fare un po’ di pratica e ho lavorato come aiuto nella cucina di Stefano Allegranza, a Domodossola. Mentre osservavo e imparavo anche l’aspetto manageriale, ho maturato la mia visione. Nel maggio del 2003 abbiamo aperto la Walser Schtuba dove inizialmente abbiamo ingaggiato un cuoco, ma a settembre dello stesso anno ho capito che quella dello chef era appunto la mia strada.

Nel maggio successivo ne ho trovato conferma in Davide Borevelli, chef stellato di Ranco (VB), che nel periodo di chiusura della locanda mi ha invitato a lavorare nel proprio ristorante. È proprio qui che mi sono definitivamente innamorato dell’alta cucina, imparando a tradurla in menù fantasiosi per la mia Walser Schtuba, secondo una filosofia che mette al centro l’utilizzo di ingredienti semplici e materie prime autoctone con cui creo piatti gourmet sul solco delle antiche ricette della tradizione Walser.

Come definirebbe la sua cucina?

I piatti che compongono i menù della locanda intrecciano tradizione e creatività, il mio obiettivo è di portare in tavola delle proposte emozionanti al palato e alla vista. Lavoro molto con prodotti del territorio, ma soprattutto mi interessano fornitori che lavorano con la mia stessa visione, attenti alla sostenibilità, al benessere degli animali negli allevamenti e delle piante nelle coltivazioni.

Prediligo le carni di selvaggina, che si distinguono per le straordinarie proprietà nutrizionali. Gli animali selvatici, infatti, diversamente dal bestiame di allevamento, si muovono molto per procurarsi il cibo e la loro alimentazione è variegata, con un ottimo apporto di vitamine e micronutrienti dai benefici effetti antiossidanti e antiinfiammatori. La selvaggina viene cacciata sul territorio della Val Formazza e tutte le parti degli animali vengono correttamente trattate e trasformate affinché nulla vada sprecato.

Esiste una ricetta tipica della cultura del popolo Walser che ha rivisitato avendone conservato però la ricetta originale?

Tra le tante posso citare una ricetta con il baccalà che un tempo era utilizzato come merce di scambio con il formaggio. Nella ricetta originaria veniva ammollato nel latte e servito con cipolle e patate in umido. Io invece lo ammollo nell’acqua, cuocio i tranci al vapore con gli aromi e a parte preparo una riduzione di latte e pelle di baccalà e cipolla, che poi filtro. Quindi lo servo su patate schiacciate, ricoperto dall’emulsione di latte areata ed erbette aromatiche spadellate.

Poi c’è il Krusli, una cialda sottile e friabile cotta nello strutto, fatta di farina acqua, grappa e uova, che veniva servita come una chiacchiera. Io ne faccio un mille foglie che servo con una crema di latte montata, non zuccherata, accompagnata da una composta di mirtilli selvatici e castagne caramellate.

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Chiara Vannini

Giornalista / Blogger

Orogogliosamente suddivisa nelle due anime culturali del profondo nord – Torino e Piemonte – e dell’amata Puglia. Scrittrice e dvulgatrice di luoghi e persone che generano il bello e il buono del cibo, del vino e delle destinazioni più accattivanti per la valorizzazione del patrimonio culturale e turistico dell’Italia.
Mossa da continua curiosità, studio e passione, soprattutto per le tematiche di attualità che ruotuano intorno al settore enogastronomico e turistico, sono alla ricerca continua nello scoprire quel qualcosa in più che invoglia a guardare oltre.